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ItisACQUI |
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MELAZZO |
Il castello |
Veduta del castello |
La struttura
Situato al centro del
paese, occupa una superficie di circa 7000 mq., di cui 6100 di parco. Della costruzione originaria
restano gli imponenti bastioni di cinta, che delimitano il parco al centro
del quale sorge il complesso abitativo. L’edificio, a due piani oltre il
pianterreno, con una torre centrale
più alta coincidente con l’ingresso principale, possiede oggi 35 stanze edificate a partire dal XVI secolo su un
preesistente impianto di casa fortificata. a torre è caratterizzata da finestre ad arco, da
bifore e da un coronamento di archetti sospesi, in laterizio. L’interno è abbellito da volte a crociera nel piano
nobile e da coperture con archi a tre cerniere al piano terra ed al secondo
piano. La pavimentazione è
realizzata con le ‘piastrelle di San
Guido’, ovvero mattonelle rettangolari dell’XI secolo provenienti dalla
fornace che i conti d’Acquesana possedevano in località Caliogna. Una pregevole galleria
che si conclude con un balcone in pietra del ‘600 permette la visione di uno stupendo panorama sulla
valle dell’Erro. La sua storia
Il Castello
custodisce un passato denso di
avvenimenti e di presenze antiche, che
ancora affascinano i visitatori. Le origini del maniero risalgono al secolo XI, quando
Melazzo era feudo imperiale dei Conti d’Acquesana, da cui nacque Guido
divenuto vescovo d’Acqui nel 1034 e
proclamato dopo la morte, Santo Protettore della Diocesi Acquese, cui donò
Melazzo ed il Castello. Nel XIII secolo il
castello fu occupato dagli Alessandrini in guerra con Acqui; fu restituito
solo cinque anni dopo. Occupato una seconda volta dal podestà d’Acqui,
Azzone, scomunicato per questo dal Vescovo, dimostra quanto ambito fosse il maniero per la collocazione strategica sulla valle
Erro e della via verso Savona. Nel corso del trecento
il Vescovo lo affidò a Oddone, Marchese di Ponzone; passò in seguito ai Marchesi del Monferrato e diventò residenza di nobili signori infeudati dagli stessi marchesi. Nel Rinascimento signore del Castello fu il Conte Falletti,
dell’omonima grande famiglia di banchieri astigiani, sposato con la
nobildonna Eleonora della Croce. Fu loro ospite nel 1552
l’umanista Giuseppe Betussi che a lei dedicò un ‘Ragionamento sulla vera bellezza’ intitolato ‘La Leonora’. Nella prefazione la
Melazzo cinquecentesca è un ‘dilettissimo
luogo, dove il fiume Ere e la Bormida al contrario l’una dell’altro corrieno’,
dove ’talora per quelli fiumi il nostro tempo era speso in turbare il grato
riposo ai pesci, tra quei fioriti
prati’. Al Castello si lega così la figura di Eleonora della Croce,
donna di vero valore letterario, lodata
da uomini dotti ed autrice di 25 sonetti, pubblicati a Lucca nel 1559.
La proprietà del
Maniero passò nei secoli seguenti ai Gandolfi e, per parentela, ai Roberti,
benché già alienato il feudo e
spogliato di ogni diritto. A fine settecento
Carlo Emanuele IV lo concedette
ai Conti Tarini; da metà ottocento passò al Cavalier Emilio Calosso di
Torino, nipote del Tarini e, nel 1861 fu venduto all’asta divenendo proprietà dei signori Arnaldi di
Genova che a Melazzo avevano anche altre proprietà: la Cascina Bianca e terre in regione Preisi. A fine ottocento
si impose, attraverso il reperimento
di documenti specifici, la
versione storica secondo cui soggiornò
nel castello di Melazzo il re d’Inghilterra Edoardo II
Plantageneto sfuggito, travestendosi
da custode del proprio castello, ai sicari della moglie Isabella di Francia e riparato in Italia dove morì due anni dopo a Butrio nell’Appennino
pavese. A ricordo della
presenza del re oggi si può leggere nella galleria dell’edificio una lapide
commemorativa. Nel 1911, dopo essere
stato aperto come asilo infantile, il castello fu acquistato dal Conte Cesare Chiabrera Castelli, il cui
casato gentilizio risale al XIII secolo, al quale si deve il restauro
conservativo della struttura con l’eliminazione del torrione centrale con le
bifore e della torre cilindrica , entrambi cadenti e pericolosi. Nel punto in cui poggiava una delle torri abbattute, un
avvallamento e l’accesso ad un
sotterraneo con scala elicoidale, avvalorano l’antica tradizione orale
secondo la quale il castello era collegato al Moncrescente da un passaggio
sotterraneo, costruito per difesa e strategia militare. Di tale passaggio
esistono ancora tracce presso la fortezza del Moncrescente e nei sotterranei
del castello melazzese. Il parco del castello,
divenuto dimora signorile sontuosa e
finemente arredata per merito dei Chiabrera,
possiede numerosi alberi d’alto fusto che si accompagnano ad una
gigantesca sequoia adattatasi al clima di queste latitudini. Passato nel 1936 in
proprietà del cavalier Maggiorino Dagna, nipote dell’allora ministro delle
Poste Maggiorino Ferraris, ed utilizzato solo come residenza estiva, durante
la II guerra mondiale fu requisito dai Tedeschi che vi installarono il
comando militare di zona. Fu anche in seguito proprietà dei Dagna, divenendo
a fine guerra sede dell’Istituto
‘Alexandria’ destinato ad accogliere
orfani di caduti in guerra. Passato in proprietà
dell’esercente Guido Rapetti, il castello divenne ristorante. Dal 1968 è
proprietà della signora Franca Pesce. |
Il giardino del castello Una delle torri del castello di Moncrescente |