La Val Ponci

      dove passavano i Romani per le Gallie

 

 

 

La via romana Iulia Augusta era stata voluta dall’imperatore Augusto per motivi strategici e probabilmente  celebrativi del potere di Roma.  Essa partiva da Vado e tagliava i promontori di Bergeggi e Noli passando nell’entroterra delle Manie. A Finale si riuniva con la via Aurelia ed il cammino proseguiva per le terre della Gallia.

L’ombrosa Vallis Pontium (la Val Ponci odierna) era attraversata dalla Iulia Augusta che permetteva il controllo di un’areale che si era rivelato poco incline alla sottomissione della Pax Romana.

Cinque ponti ad un’arcata attraversavano il solco del rio Ponci; di questi si conserva quasi intatto il più vallivo, il Ponte delle Fate (qui a fianco).

Si tratta di un’opera in stile “opus rectum” ovvero con l’impiego di blocchi squadrati in modo perfetto a dare file orizzontali.

Le dimensioni del ponte non sembrano giustificate dalle scarse portate del rio Ponci, ma probabilmente tutti i ponti della via Aurelia rispettavano il medesimo modulo progettuale per motivi monumentali (purtroppo non rimangono altri ponti romani sulla costa a testimoniare questa tesi).

 La Val Ponci, per la sua natura carsica, è soprattutto un bacino imbrifero sotterraneo e l’acqua piovana viene immediatamente “risucchiata” dalle fessure della roccia.

 

 

 

Ponci.

La valle precipita a Finale, a ridosso della muraglia di  recenti costruzioni, spettrali d’inverno ed affollate nel caldo dell’estate: stretta e quasi soffocata inizialmente, ripidissima e ritrosa al punto da offrirsi solo a tornanti  strozzati nel cemento, si apre poi  in  un  rassicurante semipiano,  mostrando gioielli d’arte e di storia con  sobrietà e parsimonia.

Questo, battuto da rocciatori  che  si cimentano sull’incombente Rocca di Corno, è il tracciato  dell’antica strada romana Iulia Augusta che, occultata dalla vegetazione e dai monti, permetteva sicurezza di trasporto e controllo della litoranea e del territorio. Anche  in questo angolo riposto della natura, la storia fa capolino quando meno ci si aspetta di incrociarla, imponendosi con resti  poderosi di ponti a schiena d’asino ed a  blocchi  quadrati  che, come quello  quasi intatto ‘delle Fate’, suscitano ammirazione per  l’assoluta sapienza costruttiva ed ingegneristica degli antichi romani.

 

Le bianche pareti calcaree: per la gioia degli scalatori, fra cui molti tedeschi e francesi, nel finalese sono presenti diverse vie d’arrampicata.

In Val Ponci c’è una rinomata parete rocciosa (la rocca di Corno) che per qualche centinaio di metri fa provare agli appassionati l’ebbrezza del vuoto. La scalata al Corno non è comunque solo un’arrampicata, ma un’ascesa lenta sull’orizzonte che pian piano si apre durante l’ascensione: a sud l’azzurro del mare, tutto attorno il verde della macchia dei monti.

 

Le grotte carsiche sono un’altro aspetto interessante della Val Ponci. Le acque piovane si infiltrano nelle fessure dei massicci calcareo-dolomitici e dissolvono lentamente la roccia scavando cunicoli e ampie sale. In queste grotte carsiche già si riparava l’uomo preistorico condividendo gli spazi con le faune calde o fredde dei diversi momenti climatici del Neolitico.

Durante la glaciazione Wurm, come provano gli scavi archeologici della Grotta delle Fate, gli animali dei periodi freddi (orsi , cervi ecc.) si alternavano agli animali dei periodi interglaciali, più caldi, leoni, rinoceronti e zebre, fornendo prede ai nostri antenati.

All’inizio della strada sterrata, che risale la Val Ponci, un antico dolmen ricorda i riti magici e la spiritualità degli antichi liguri in età preromana.

 

 

Poi la natura, con scenari incantevoli e sempre  nuovi, avvolge come un’oasi di silenzio - il vento per miracolo sembra dileguato - e, non più ritrosa, sembra abbandonarsi per rivelare innumerevoli  segreti.

Ad ogni passo  fanno  compagnia poderosi lecci e castagni e frassini (che danno il nome al tour a piedi ”la valle dei frassini”) che si alzano  inconfondibili da un sottobosco umido gremito di felci , capelvenere, liliacee e ginestrone,  nespoli del Giappone ed erica arborea. Lentisco  e corbezzoli incorniciano  a gara gli spazi vuoti  di altri arbusti, come a dimostrare la loro vitalità assoluta.

Il silenzio  profondo ed antico non è disturbato neppure dalla presenza discreta di qualche  uomo che  provvede a fondare un nuovo vigneto  di terra rossa o che si cela  dietro le persiane color lavanda di una casetta rustica  di pietra locale. Anche qui è di casa la serenità: l’animo si fa morbido e ricettivo  dell’ armonia  circostante; gli occhi riposano sui colori vari  per i riflessi di luce che al tramonto si spegneranno e si dirigono, infine,  come in sogno alla vertigine del Corno dove s’attardano in esercizi acrobatici i rocciatori.

Il cielo,  puntinato dalle prime stelle, sembra   riossigenato da tanta pace.

La parete della Rocca di Corno illuminata dagli ultimi raggi del sole